Un intreccio di storia e amicizia

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Ti è mai capitato di trovarti appiccicato a una vetrina e guardare un vestito di alta sartoria?

Bene: catapultati con me davanti a una teca che sembra esplodere di colori.

A un corpetto con una gonna lunga e vaporosa. In rilievo fili dorati, drappeggi e fantasie a fiori delicati. A un copricapo. A uno scialle.

C’è persino una specie di pochette che affina l’outfit.

Questo nostro viaggio non inizia da un negozio addobbato a festa, ma dal Museo valdese che ospita gli antichi abiti guardioli e altri tesori di Guardia Piemontese.

Alla scoperta dei tipici abiti occitani nel Museo “Pascale”

antico abito guardiolo

Antico abito guardiolo, Museo Pascale

L’antico borgo svetta sul Tirreno cosentino: di notte, a vederlo dalla costa, sembra comporre uno Stivale.

Un’Italia costellata da tanti punti luce, che rallegrano un paese custode di storia, tradizione e culti mai sopiti.

Le particolarità di Guardia emergono all’improvviso, stanchi di restare chiusi in bauli con naftalina e fiori di lavanda, proprio come gli abiti guardioli.

Molte donne li conservavano negli armadi, fino a quando è cominciata un’opera di recupero (promossa dal centro culturale “Gian Luigi Pascale”) che si è diffusa tra i vicoletti, comignoli e oltre.

Recupero di antichi vestiti valdesi: l’identità di un popolo

Superate le prime reticenze, le signore hanno iniziato a regalare i loro abiti tradizionali al Museo. Aprendo vecchi bauli, spesso trovano ancora dei tesori.

Quei drappeggi raffinati sono in esposizione al primo piano del Museo valdese, non distante dalla Porta del Sangue che segna una tappa fondamentale nella storia dei valdesi di Guardia.

Ad accogliermi con sorrisi che rischiarano queste giornate di mezzo grigio e mezzo giallo di un autunno inoltrato, c’è Fiorenzo Tundis, responsabile del centro culturale “Gian Luigi Pascale”, alla ricerca sempre di un tassello per arricchire la storia dei Valdesi di Calabria.

Nell’altra stanza, intente a sistemare l’ultimo abito guardiolo avuto in dono, Maria Molinari, Concetta Avolio, Paola Lentini, Teresa Sacco, Sandra Treviso e Tina Calderisi, l’anima e le braccia del Laboratorio tessile “Le tramontane guardiole”.

A te non costa nulla. Per me è una fonte di soddisfazione enorme.

Quando s’indossa l’abito tipico guardiolo-occitano

Sulla mia moleskine prendo appunti, ma poi finisco per essere una barca adagiata su un fiume lento, mentre ascolto racconti sugli abiti guardioli.

Ancora oggi li indossano le ragazze nelle occasioni importanti e negli eventi culturali per non far cadere l’oblio su questi fili di storie e sentimenti.

Originali e semplici intrecci, in un connubio che riporta a quelle mani che tessevano, a quei colori scelti per vivere giornate memorabili, come il matrimonio, o altrettanto significative come la quotidianità tra stradine e figli da tirar su.

Tramontane guardiole: come nasce il Laboratorio di tessitura

Le sarte riannodano i fili di otto anni fa: «Abbiamo frequentato il corso di Immacolata Oliviero, nostra compaesana, sul recupero dell’abito guardiolo. Beatrice Grill, presidente del centro “Pascale”, ha voluto questo corso sull’antico modo di fare tessitura.

Abbiamo confezionato almeno venti abiti guardioli, riproduzioni che percorrono l’Italia durante gli eventi culturali. Poi si è pensato di mettere in pratica quanto imparato, migliorando con la tecnica.

Ed è nato il Laboratorio. Ci alterniamo: per tre giorni a settimana ci ritroviamo qui. Il ticchettio del telaio è terapeutico, oltre a dare forma, espressione alla nostra creatività».

La tradizionale tessitura valdese arriva all’estero

Il Laboratorio (finanziato coi fondi dell’8 per Mille della Chiesa Valdese) d’estate richiama i turisti. Sono attratti da questi manufatti che portano con sé una tradizione di orditi lavorati a mano, con tecniche uniche.

Abilità che riconducono a un popolo, quello di fede valdese, di tessitori, approdato a Guardia Piemontese per varie, sofferte vicissitudini storiche.

Le creazioni del Laboratorio occitano in Australia e America

«Le nostre creazioni arrivano in Australia, in America. Tutto fatto a mano, come riporta l’etichetta. È una soddisfazione enorme», commentano entusiaste.

Sono come ipnotizzata: Maria, Concetta, Paola, Teresa sono sedute a un telaio (nel laboratorio ce n’è uno classico e altri creati da Matteo Salusso, più moderni ma sempre ancorati alla tradizione).

Tina fa da voce narrante (ma non solitaria), mentre Fiorenzo è alle prese con le installazioni al piano di sopra.

Lino, seta, canapa e ginestra: l’uso delle fibre naturali

Infilano da un lato la navetta. La passano dall’altro. Affinano i margini. Battono con il pettine. E continuano.

Si consultano per i colori. Le fibre naturali da usare: lino, seta, lana merino, canapa e ginestra. I punti da eseguire.

Potrebbe sembrare un lavoro meccanico, se non fosse che nella precisione di questi movimenti è racchiusa la forza della creazione, dell’espressione artistica di queste donne che credono in questa avventura.

Lavorano, si raccontano la vita, sorridono e portano questo pezzo di Calabria anche oltreoceano: ogni loro creazione, unica nel suo genere, spicca il volo, supera confini grazie ai turisti che vengono in questo pesino arroccato, dove sembra di sentire il cielo meno pesante, e al passaparola.