Mascherine: quattro storie di solidarietà
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In lungo e in largo della Calabria, si è messa in moto una gara di solidarietà per donare le mascherine artigianali. E, ancora una volta, vincono tutti insieme. Come i protagonisti di queste quattro storie di solidarietà che cuciono e regalano le mascherine a chi ne ha bisogno.
Teste chine sulla macchina da cucire, mentre le saracinesche di sartorie, camicerie, aziende e piccole imprese sono abbassate. E anche chi cuce per diletto si è messo a disposizione per confezionare questi dispositivi e darli ai vicini di casa, agli anziani (grazie di cuore).
Queste mascherine, infatti, dopo essere state sterilizzate e confezionate, vengono date – rispettando tutte le regole igienico-sanitarie – alla Protezione civile, ai vigili urbani, ai volontari, ai centri raccolta, ai presidi per distribuirle gratuitamente alle comunità.
È una Calabria solidale, altruista, generosa. È una Calabria che abbraccia e non lascia andare. Che non si maschera, ma mostra, come il resto d’Italia, un’unione che fa sciogliere l’anima.
In queste ultime ore ho ascoltato le storie di Orlano Verta, di Melina Baffa, di Gianluca Bottone e Marianna Cometa: come tanti fanno parte di quella gara di solidarietà per donare mascherine.
Leggiamole insieme!
Orlando Verta: giovane artigiano di Cetraro
«Quando abbiamo ascoltato le richieste di mascherine dai reparti degli ospedali, abbiamo deciso che non potevamo aspettare. Così, abbiamo iniziato a cucire questi dispositivi. Finora ne abbiamo fatto oltre un centinaio», racconta Orlando Verta, giovane artigiano di Cetraro.
Lavora nella sartoria di famiglia, la Società Oana, creata negli anni Novanta dalla nonna Giuseppina, ora in pensione. Con lui anche la mamma e il papà, oltre a dieci sarte adesso a casa per rispettare le prescrizioni. «La nostra attività è chiusa da un po’ di giorni. Confezioniamo maglieria anche per il Nord. Ora tutto è fermo. Avevamo, però, del materiale 100% cotone: perché non fare qualcosa, ci siamo chiesti? Pertanto, sabato ci siamo messi subito all’opera, dividendoci i compiti», spiega Orlando.
Così ritagliano a mano il tessuto in base al cartamodello. Tutto, quindi, è eseguito con cura e con dedizione. La stanchezza c’è, ma poco importa: «Quel che conta è aiutare le persone anziane e quelle più fragili. Mamma cuce il tutto con la macchina apposita per far le mascherine». Poi Orlano e il padre le sterilizzano e le donano ai vigili urbani di Cetraro per distribuirle, gratis, a chi ne ha bisogno.
«Prima che sia troppo tardi, facciamo queste mascherine che non si trovano», è questa la molla che ha spinto Orlando, 19enne che ha deciso di continuare nell’attività di famiglia. Purtroppo, il materiale a disposizione è quasi finito e farlo arrivare è un problema che, al momento, non si riesce a risolvere.
Ma fino a quando è possibile questa famiglia continuerà a donare anche speranza.
Melina Baffa: sfila la bellezza del cuore
«Il 7 marzo scorso abbiamo deciso di fermare tutta la nostra produzione. Ma dopo una settimana, io e mia madre ci sentivamo inutili». Ha la voce rassicurante Melina Baffa, proprietaria dell’omonima azienda a Santa Sofia D’Epiro, paese arbëreshë in provincia di Cosenza, che produce abiti di alta moda.
Dal 19 marzo, infatti, lei e la madre Amalia hanno iniziato a cucire, nel loro stabilimento, mascherine prima donate agli abitanti di Santa Sofia D’Epiro, poi, a mano a mano che il cerchio si è allargato, anche ai paesi vicini e non solo. «Non le avevamo mai fatte, però in magazzino c’era tanta stoffa e materiale a disposizione. Ci siamo, quindi, messe al lavoro», racconta Menina.
Le loro mascherine artigianali hanno tre strati di filtraggio, con una tasca per un quarto strato dove si possono inserire filtri di plastica o un fazzoletto ripiegato tre volte. «Abbiamo fatto diversi test, soprattutto privilegiando l’aspetto barriera contro le goccioline responsabili della trasmissione del virus. Ne abbiamo creata una che è eco-sostenibile per poi iniziare con la produzione», continua questa imprenditrice calabrese.
Non sa quante ne hanno fatte finora, anzi si rammarica per il tempo. Pare di averne sempre meno, mentre aumentano le richieste. «Seguiamo le fasi dal taglio al singolo assemblaggio con macchinari industriali. Le pieghette le facciamo a mano stirandole una a una. Infine sterilizziamo e imbustiamo». Le dieci sarte dell’azienda avviata, nel 1987 dalla madre Amalia, sono a casa. «Vorrebbero anche loro aiutarci, ma purtroppo dobbiamo rispettare le misure. Ma ognuna di loro ci dà forza, ci sprona», mi dice Menina, e intravedo il suo sorriso.
Bottone 1976: da Orsomarso mascherine per tutti
«Stiamo vivendo questo momento così delicato, che ogni cosa sembra distante. Abbiamo pensato alla gente del nostro paese: bisognava confezionare le mascherine artigianali per loro. Perché questo virus non fa distinzioni e se c’è qualcosa per contrastarlo, bisogna farla». Dall’altra parte del telefono c’è Gianluca Bottone, proprietario della camiceria Bottone 1976 di Orsomarso, paese dell’entroterra cosentino.
Con il padre Emo e con altre sarte dell’impresa hanno, pertanto, iniziato a pensare al tipo di mascherina da realizzare e al materiale. Soprattutto, c’era la necessità di farle con del cotone «traspirante che, dopo essere stato accuratamente sterilizzato, si può riutilizzare. Abbiamo iniziato così a tagliare, cucire, controllare, sterilizzare», racconta Gianluca.
La sua camiceria ogni anno lavora anche con famosi brand del Nord Italia, ma adesso che tutto ha subito una dolorosa battuta d’arresto, organizzare queste ore per confezionare mascherine è come quell’elastico che si usa per questi dispositivi: mostra quanto possa cambiare la nostra vita, quanto sia importante far tutto con delicatezza.
Dopo Orsomarso – sono state donate gratuitamente mille mascherine ai cittadini – la Bottoni 1976 ne ha confezionato 2 mila per i dipendenti della Regione Calabria. «La settimana scorsa ne abbiamo prodotto 12 mila. Stiamo lavorando in sicurezza, rispettando ogni norma. È una corsa contro il tempo: le richieste arrivano da più parti. Ti strazia l’anima quando ascolti quelle parole. Ma ce la faremo», mi dice Gianluca, con quel tono di voce che fa trapelare speranza.
Marianna Cometa: mascherine colorate e allegre
«Lavoro da casa. Nella mia stanza ho una macchina da cucire. Per fortuna ho lasciato qui anche delle stoffe e altro materiale, come elastici, per poter realizzare le mascherine artigianali. Ci lavoro quasi 10 ore al giorno, ma non mi pesano. Anzi, mi rendo conto che il tempo vola, mentre le richieste crescono sempre più. È una corsa e ognuno sta facendo la sua parte». È sera tardi: Marianna Cometa, proprietaria di Olladilla, attività artigianale di Cetraro, si è presa una pausa tra una mascherina e un’altra.
Il suo negozio nel centro storico di Cetraro, con borse e creazioni originali, è chiuso da un po’ di giorni. «Ho letto di molti medici, infermieri, operatori sanitari, come anche commessi dei supermercati, uomini e donne delle forze dell’ordine che non riescono a reperire queste mascherine. Pertanto, non potevo stare inerme», racconta Marianna.
Le prime mascherine le ha donate a diversi reparti dell’Ospedale civile Iannelli di Cetraro – qui lavora anche il padre –, unendosi a quanto stanno facendo anche altre sarte (ottenove).
«La parte più lunga è sicuramente il taglio, ma mi aiuta mia madre. Prima, quindi, ho creato un cartamodello facendo diverse prove. Uso stoffe 100% cotone, mentre la parte colorata è realizzata con materiali che si usano per i costumi da bagno», spiega questa giovane artigiana della moda.
Confeziona due tipi di mascherine: quelle con filtro cucito internamente e quelle con apertura esterna dove inserire il filtro. Ogni tipo è formato,pertanto, da tre strati che fanno da barriera. «Invece delle pieghe sto facendo le pence, che servono a fasciare di più».
Quei colori, quelle fantasie delle mascherine che Marianna dona a chi ne ha bisogno, sono un arcobaleno in giorni di pioggia.
Nella foto, la Calabria stretta insieme su tessuto: è stata da me scattata nel ristorante sociale “Sapori e saperi” di Belvedere Marittimo (Cs)