Prendi un pirografo e disegna un sogno
C’è posto nel Giardino di Pina Pirìto Sayuri
Nel Giardino di Pina Pirìto, entro in punta di piedi. Soprattutto quando mi racconta com’è nato tutto.
«Compriamolo. Magari impari a usarlo per sprigionare quel che hai dentro!».
«Tu credi, papà?».
«Sì, ne sono sicuro» e, indicando il pirografo, con tono pacato, si rivolge al commesso e paga.
Non sono certa che siano state proprio queste le parole usate dal padre di Pina Pirìto, giovane artigiana di Cirò Marina (Crotone). Ma non ho nessun dubbio sulla determinazione e la sensibilità di questo uomo che ha sempre creduto nei figli e nella famiglia. Tutti artisti. E Pina non poteva essere da meno: ha il piglio fermo, occhioni enormi e un sorriso che spazza via ogni brutto pensiero.
Lei che di notti insonni e di giornate con il grigio nel cuore ne ha trascorse tante. Ma quando quell’apatia rischiava di annientare la sua vitalità, ha ricordato quel pirografo che le regalò suo padre. Poi è iniziata un’altra storia, nuovi battiti e profumi che inebriano il suo “Giardino di Sayuri”: targhette, portachiavi, portafoto in legno, bomboniere, e tanti altri oggetti impreziositi dai disegni che realizza con questo arnese.
Il pirografo
«Ho iniziato a usarlo circa quattro anni fa. È come una penna elettrica per disegnare i tatuaggi, solo che scrive sul legno, sughero e cuoio». Penso, quindi, al profumo dei trucioli, al ronzio mentre incide rintanata nel suo piccolo laboratorio di Cirò Marina.
Ci tiene, però, a precisare che è nata a Cirò, per poi trasferirsi, 13 anni fa, in questa cittadina dove si fa apprezzare per la sua creatività e la sua arte. «Mio padre, artigiano, mi spiegò a grandi linee come usare il pirografo».
Pina ha una voce armoniosa, gentile, ma ferma, tipico di chi sa dare il giusto peso alle cose. «Non lo usai prima di qualche mese. Stavo attraversando un periodo difficile in cui ero completamente apatica». Fa una piccola pausa. Poi riprende: non vedo il suo volto (siamo al telefono), ma è come scrutarne le movenze, quella smorfia che fa con la bocca quando non vuol darla vinta al destino.
«Settimane di depressione che non mi faceva star bene. Mi ero laureata da poco, ma non vedevo sbocchi. Capita a tutti un periodo brutto? L’importante è superarlo e non negarlo. Arrivò “quel” giorno d’inverno” di quattro anni fa: ricordai l’acquisto del pirografo. E iniziai a usarlo».
Vari tentativi per capire come adoperare questo attrezzo, quanta pressione esercitare per l’incisione sul legno che dà quel tratto brunito, come regolarne il calore. Quanti fogli di legno di compensato le ha portato il padre (e continua a farlo). «Ne ho buttati di pezzi di legno! Ma è da sempre, infatti, una bella scoperta. Dopo ogni esercitazione, notavo che non solo ne poteva uscire qualcosa di carino, ma che mi aiutava. Era terapeutico: mi faceva stare emotivamente meglio».
A te non costa nulla. Per me è una fonte di soddisfazione enorme.
La prima creazione non si scorda mai
Il primo lavoro realizzato con il pirografo è stato una Sacra famiglia. C’è l’impronta del fratello Salvatore (bravo a dipingere, come Francesco, l’altro fratello. Del resto, in casa Pirìto l’arte si respira da quando si è piccoli). Salvatore disegnò sul legno, Pina calcò con il pirografo. Quella Sacra famiglia è all’ingresso della loro casa a Cirò Marina, come a indicare da dove è partito tutto, senza mai darsi per vinti.
Postare dei manufatti sulla sua pagina social “Il Giardino di Sayuri” è venuto da sé. Come le prime richieste degli amici di targhe con l’incisione di nomi, frasi e disegni di rose, farfalle, e tanti richiami alle più belle storie raccontate dagli scrittori e narrate nelle favole. Dal disegno, spesso fatto a mano libera, senza calco, agli acquerelli per colorarlo. «Una ragazza, approdata non so come sulla mia pagina, mi chiese di realizzare per lei una targhetta. Accettai, titubante. Lo feci le volte successive, con nuove sfide (su soggetti, forme e colori) che mi divertono e mi fanno star bene. Sì, perché in qualche modo faccio da tramite a piccoli desideri.
Personalizzare significa essere
Ogni lavoro è personalizzato, unico. In ogni piccola o grande creazione s’instaura la sinergia tra me e chi richiede un pezzo. Questo è uno degli aspetti che più preferisco di questa passione. Si parte da un’idea del cliente, che diventa progetto, poi lavoro di squadra».
Solare, Pina. Il passaparola è fondamentale, ma chi ha acquistato i suoi oggetti continua a richiederne per la cura che questa donna, dolce e intrepida, mette in ogni manufatto in cui è racchiusa una storia personale, un afflato che nessuno potrà cancellare.
Sulla sua pagina social “Il Giardino di Sayuri” arrivano richieste, anche strambe. Lei valuta e poi si mette in contatto con il cliente. Prima solo di Cirò, poi dalla Calabria, ora dall’Italia e dall’estero. «Sono appassionata di Giappone e dell’Oriente in generale. Sayuri è ormai il mio nome d’arte. Amo i fiori, vedo ogni mia creazione come un bocciolo di cui mi prendo cura giorno per giorno in questo mio giardino, che poi altro non è che la mia camera, trasformata in laboratorio. Qui mi rinchiudo e lascio andare la vena artistica che pulsa da sempre. Ed è vita».
Ha in serbo altri sentieri da esplorare. «Penso a tecniche, soggetti e forme nuove. Non mi fermo. Non voglio fermarmi». Sorridiamo. E mi sento felice di aver viaggiato con lei, in questo posto, lato finestrino.
*Foto concesse da Pina Pirìto