Rosario Gomis, artigiana spagnola che per amore ha scelto Cosenza
Ogni tanto sposta con le mani ciocche dei suoi capelli ricci per poi guardarli sbucare ribelli sulla fronte. Sarebbe tentata di riprovarci per metterli in ordine, ma poi decide di alzare gli occhi e lasciarsi andare in una risata, trascinando in questo vortice euforico anche me.
In quel pendolo di autocontrollo e slancio di libertà, Rosario Gomis, artigiana spagnola che ha trovato la sua essenza a Cosenza, mi guarda con una stupenda luce negli occhi, mentre siamo in una stanza di Palazzo Spadafora. L’edificio, con la sua elegante imponenza, svetta nel centro storico del capoluogo bruzio. Tra colori, pennelli, attrezzi, origami di gru che sbucano da diversi espositori quasi a farsi sentinelle di pace e libertà, sembra di essere lontani dalla città, sospesi in una dimensione che viene scandita dai rintocchi delle campane delle chiese e dalla luce del sole che filtra da alcune finestre.
Nello storico Palazzo, Rosario è approdata dopo aver partecipato al bando ed essere stata selezionata, insieme ad altre nove imprese, al progetto dell’Unical “Cosenza Open Incubator”. Così la sua “Osacuca Ceramics” ha trovato un primo posto nel mondo, anche se a pensarci bene aveva già mosso tanti passi sulle caselle della vita e tanti ancora ne sta compiendo, in quella trasformazione che, come avviene nell’arte di Rosario, porta l’argilla ad assumere le sembianze di gioielli particolari, delicati e resistenti. “Un omaggio alle cose fragili che, grazie alla ceramica, diventano sì forti ma anche pezzi di cui avere cura, così da essere tramandati alle generazioni, come insegna l’archeologia”.
Per comprendere come è maturata questa consapevolezza, trasformando Rosario in una donna che si è trasferita per amore in Calabria, ritrovando la sua vena artistica a queste latitudini, bisogna tornare in Spagna. O meglio, nel sud della Spagna, in un piccolo paese vicino Alicante, dove è nata.
L’argilla: da gioco di bambina a sogno di adulta

Come nasce un orecchino a fiore in ceramica
“Vengo da una famiglia modesta: mio padre è un agricoltore e mia madre si è data da fare affinché i suoi figli studiassero, cosa che a lei era stata negata. Sin da piccola è forte in me la passione per la manualità. Ricordo che aspettavo con trepidazione il ritorno di papà dai campi e appena portava dell’argilla per me era una festa. Una magia: giocavo con quel materiale per realizzare varie forme o per trasformarmi in una panettiera”. Dice d’un fiato Rosario.
Mi sorride, con il suo italiano che risente dell’accento spagnolo e dell’allegria della sua anima. “Un vero approccio però l’ho avuto grazie a zia Victoria, la sorella di papà, che aveva seguito un corso di porcellana fredda. I pomeriggi andavo a casa sua – avrò avuto 8 anni – per creare con le mani dei fiori di porcellana: mi inebriavo della sua linfa, della sua creatività”. Con gli anni Rosario si convince che quella sua felicità nel modellare l’argilla non può essere la strada per trovare un posto nel mondo.
“Non ho voluto dare fuoco a quella passione e ho scelto una facoltà all’Università a Castellón che proprio nulla aveva a che fare con me: Gestione e Amministrazione pubblica. Mi ci vedi?”, mi dice guardandomi negli occhi. Per un anno ha seguito i corsi, ma qualcosa dentro iniziava a comprimere l’anima, a divorare forze ed entusiasmo.
L’importanza della ceramica in archeologia fa scattare la molla

Orecchini e ciondoli fatti a mano Osacuca Cercamics
“Ho avuto un piccolo crollo psicologico. Un giorno mio cognato, vedendomi triste, mi chiese cosa stesse accadendo. Non ero riuscita a parlare con nessuno della mia famiglia di quel che mi agitava, di quel senso di fallimento che avvertivo e che mi rattristava. Mi sfogai con lui che mi disse di parlarne con mia madre; mi avrebbero certamente compresa”. Fu così.
Dopo Rosario si iscrive a Storia, laureandosi con la specializzazione in Archeologia all’Università di Alicante. “Durante gli studi, ho seguito un corso per conoscere le tecniche antiche di lavorazione dell’argilla. Vedere come quei manufatti si fossero mantenuti nel tempo, conservando la loro essenza artistica, mi ha fatto scattare qualcosa dentro. Ma non era ancora abbastanza per uscire da quei confini in cui mi ero rifugiata io, spinta da un senso di colpa. Ero la prima e l’unica a negarmi questa opportunità di vivere d’arte. Era qualcosa riservata agli altri, qualcosa di bello che non mi potevo permettere”.
È un vulcano: studia l’arabo, lavora nei bar per mantenersi agli studi, vince una borsa di studio, consegue una seconda laurea in Restauro dei Beni culturali a Granada. “Prima di finire l’università, mi hanno selezionata per una borsa di studio per l’Archivio e Biblioteca dell’Alhambra di Granada per restaurare i documenti dell’archivio. Dopo è arrivata l’assunzione e per 10 anni ho lavorato in questo posto meraviglioso come restauratrice. Poi ho conosciuto Raffaele e tutto è cambiato”.
Lascio tutto e vado a vivere a Cosenza Vecchia

Il giorno dell’intervista a Palazzo Spadafora
Lasciare il certo per l’incerto, la famiglia, il proprio Paese, tutto ciò che è casa per trasferirsi in Calabria in nome dell’amore è stata una decisione ponderata ma anche dettata da una consapevolezza. “Un altro lavoro lo avrei trovato, ma una persona come Raffaele no. Era la scelta da fare, senza tentennamenti”, mi dice dolcemente.
Avvolgendo il nastro, mi porta con lei a quel primo incontro con la persona che poi è diventata il suo compagno e il padre di Daniele, il loro figlio, nato due anni dopo il trasferimento di Rosario in Calabria. “Lui era a Granada, dove aveva fatto l’Erasmus, per salutare degli amici. Tra questi uno in comune. Una sera siamo usciti tutt’e tre. Io e Raffaele abbiamo iniziato a conoscerci e poi a frequentarci. Dopo un po’ è tornato in Calabria – è originario di Saracena – a lavorare come architetto. Così è iniziata la nostra relazione a distanza, durata cinque anni. Ci vedevamo appena potevamo ma in me c’era una forte esigenza di cambiamento. Contro ogni pronostico – qualcuno mi ha detto che lasciare un lavoro certo era da folle – ho deciso di trasferirmi a Cosenza”. È stato un salto nel buio ma adesso è inondata di luce.
Com’è nato il brand Osacuca Ceramics

Gru in origami
Una volta arrivata in Calabria, per Rosario non è stata comunque facile. Ha cercato lavoro come restauratrice di libri, ma le porte era completamente chiuse. Prima della partenza aveva seguito un corso per insegnare spagnolo che a Cosenza gli ha spianato la strada per dare lezioni in accademie private. Ha lavorato dopo come traduttrice in un’azienda fin quando è scoppiata la Pandemia.
“Ho cominciato a lavorare da remoto. Quel periodo, per me e la mia famiglia, è stato doloroso a causa di un grave lutto. Un momento delicato in cui ho trovato rifugio nell’arte, nella ceramica, cercando di realizzare a mano pezzi che durassero per sempre, come il ricordo della persona che se n’era andata troppo presto. Pian piano ho cominciato a fare a mano orecchini e ciondoli in ceramica: piacevano tanto. Con il passaparola è aumentata la richiesta. Ho preso in affitto un forno, comprato il materiale, realizzato un catalogo con tutti i monili Osacuca”.
Nel 2022 Rosario partecipa al bando dell’Unical per incubatore d’impresa nel centro storico di Cosenza con il suo brand. “Osacusa lo avevo fondato già quando lavoravo all’Alhambra e realizzavo gioielli con un mix di tessuti. Poi a quel nome ho aggiunto ‘Ceramics’ perché il materiale era cambiato così come la mia dimensione e direzione”. E quando le chiedo che significato racchiude il nome del suo brand, mi spiega che tutto è nato quando un’amica le fece il gioco per scoprire quale fosse il suo animale totem, l’orsa. “Osa in spagnolo è l’orsa; cuca è una persona a cui piacciono i dettagli. A tutto è legata la mia passione per il Giappone”.
E in quegli intrecci che non per forza di cosa debbono essere spiegati, tutto porta alle Gru in origami e a quel cerchio della vita che accompagna ogni suo gioiello. Pezzi unici, fatti a mano, dopo passaggi lenti, delicati che richiedono molta esperienza, creatività e pazienza.
Gioielli in ceramica e oro fatti a mano

https://www.ottenove.it/rosario-gomis-artigiana-ceramica/
“Adesso è Osacuca Ceramics a far sprigionare il potere magico dell’argilla che muta forma e colore in gioielli. Diverse le collezioni realizzate in argilla bianca e nera, smalti e oro. Trovo ispirazione nella natura, nei colori, nelle persone”. Guardo quegli orecchini a forma di fiori e di foglie così delicati e originali, quel mix di colori punteggiato da gocce dorate e penso a quante ore ci vogliano per trasformare un panetto d’argilla in orecchini, pendenti, anelli e ciondoli di ceramica così particolari.
Il colore trova la sua piena armonia in ogni gioiello hand made. Rosario prende un paio di orecchini, li posiziona con cura in una confezione con su raffigurato il brand “Osacuca Ceramics”, li avvolge con della delicata carta velina e sopra vi posa un biglietto. “Contiene all’interno dei semi, un dono di vita a chi ha scelto una mia creazione. I semi trovano concretezza nel terreno di chi li pianta e se ne prende cura”. Proprio come fa Rosario: una parte del ricavato della vendita dei gioielli, infatti, la devolve ad associazioni pediatriche.
Osacuca Lab e l’arteterapia

Rosario nel suo Osacuca Lab
Nel centro storico di Cosenza Rosario ha deciso di mettere radici. Con Raffaele hanno comprato e restaurato una casa, dove trascorrono giornate con Daniele, tra ritmi talvolta frenetici, dialoghi in spagnolo e in italiano, con parole in dialetto, viaggi, progetti, sacrifici, sogni, speranze e amore. Da alcune settimane, a pochi passi da Palazzo Spadafora, Rosario ha aperto il suo “Osacuca Lab”. È uno show room con tutte le sue collezioni, che dà nuova vita a un magazzino di Cosenza Vecchia sfitto da dieci anni.
“L’ho restaurato, riempito di piante, gioielli e colori. Le vendite stanno andando bene, ma preferisco essere cauta. È uno spazio non solo per me: al centro di questo laboratorio c’è un tavolo grande con sei postazioni. Spero di attivare presto dei corsi di arteterapia per bambini e adulti. Sai Ale, sto una meraviglia. Certo ho paura: non c’è una mappa ben precisa da seguire”, mi dice. “Ancora non ho inaugurato il Lab: ma avverrà presto e accoglierò tutte e tutti con Jamón e cuddrurieddri. Tu verrai, vero?”, incalza con voce allegra.
E penso a quando l’ho conosciuta a un evento con Alessandra Sarubbo, founder di Caprichar: due donne meravigliose, dal sorriso contagioso, entrate nella mia vita con una gioia così ardente da rinvigorire i rami della mia essenza.
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