Terùn: quando il gusto vince sui pregiudizi

Proprietari Terùn pizzeria San Francisco

Come capovolgere un termine denigratorio quale Terùn, nel passato appiccicato addosso a molti meridionali, in un concetto positivo che racchiude il sapore del talento, dell’orgoglio per le proprie radici, del cibo, dello sport, della passione per la propria terra?

L’ho chiesto allo scaleota Maico Campilongo, che con il fratello Franco e l’amico pugliese Kristyan D’Angelo, Oltreoceano hanno deciso di dare proprio questo nome al loro primo ristorante-pizzeria. Precisamente a Palo Alto, in California, dove l’american dream diventa possibilità concreta per tutti quelli che ci credono davvero.

In quasi 10 anni di attività, Terùn è diventato infatti “un consolato del gusto”, che ha visto e accoglie ogni giorno personalità di spicco della Silicon Valley, proiettati verso il futuro ma ancorati ai sapori di un tempo.

E, lungo quella missione che i tre vogliono attuare, anche per un riscatto sociale e personale, si inserisce l’apertura di ITalico (2016) e, presto, di Impasto.

Se ti dicessi che la scoperta del gusto del Meridione avviene anche in sella a una bici, ci crederesti?

Vieni a scoprirlo con me in California!

Come nasce l’idea di Terùn e come si concretizza

Pizza specialità Terùn California

La storia è fatta di partenze e ritorni. Di scelte per dare un senso alla vita, quando dentro qualcosa non ti fa più sobbalzare. Così è stato per Maico, per anni impiegato come commerciale in un’azienda di consulenze informatiche di Trento. Nel 2005 decide di andare in vacanza in California. Lì c’è il fratello Franco, partito tre anni prima per imparare l’inglese, decidendo poi di rimanere.

Quando è negli States, Maico capisce che non è giusto accontentarsi. Così, ritorna in Italia, si licenzia e, con un visto da studente, vola a Palo Alto, dove inizia a lavorare come cameriere. I due fratelli, prima di diventare ristoratori famosi (Terùn finisce perfino sul New York Times), svolgono diversi lavori. C’è qualcosa che pulsa dentro di loro e si concretizza quando incontrano lo chef pugliese Kristyan.

Sudori, sacrifici, voglia di essere padroni del proprio destino: è questa la premessa di un nuovo capitolo scritto a sei mani.

Era arrivato il momento di provare. Lavoravamo nelle stesso ristorante: Franco era General Manager, io Assistant Manager e Kristyan, per guadagnare di più, era cameriere. Ogni sera, alla fine del servizio, si consumava un rito costante tra noi tre: il proprietario raramente veniva al locale. Così telefonava, con regolarità, per sapere il venduto della giornata. E se fossimo noi quelli a telefonare?, ci siamo chiesti.

Terùn, ITalico e Impasto: le declinazioni del gusto italiano

Agnolotti

Abbiamo deciso che i tempi erano maturi: due amici con capitali da investire si proposero di diventare i nostri Angel investor, soci silenti – continua Maico. Ci mancava quel mezzo milione di dollari per costruire un ristorante ex novo o comprarne uno già usufruibile. Siamo una start-up a tutti gli effetti”.

Non è stato facile aprire il primo locale. Non solo per la costruzione, ma anche per un disguido burocratico.

“Decidemmo di aprire senza la licenza per la vendita di alcolici, arrivata a un mese esatto dall’apertura. Ma tutto avviene per un motivo: infatti, abbiamo avuto modo di dedicarci sul cibo e su altri particolari che poi ci hanno permesso di essere, probabilmente, il ristorante di successo che siamo diventati. Un luogo dove mangiar bene, star in compagnia e ascoltare musica”, racconta Maico, con tono ottimista e con sorrisi che spalancano l’anima.

Il racconto di papà Peppinuccio: quando ci chiamavano terroni

Negli Stati Uniti riportano i sapori autentici della tradizione culinaria italiana, decisi a seguire una missione senza scendere a compromessi con gli spaghetti annegati nella salsa di pomodoro e richieste che nulla hanno a che fare con la nostra cucina.

“Abbiamo poi dovuto combattere il pregiudizio di alcuni connazionali sul nome: ci dicevano che non era il caso di chiamare un ristorante con un termine denigratorio, ma una volta scoperto quel che c’è dietro si sono ricreduti”.

E parla del papà Giuseppe di 81 anni, che a Scalea chiamano “Peppinuccio”. Rimasto orfano di padre, a 16 anni si trasferì al Nord. Maico e Franco pensano spesso a un aneddoto che racconta loro: “Un giorno era ospite di una famiglia a Imperia. A un certo punto, i commensali cominciarono a parlar male dei meridionali, dei terroni. Lui non proferì parola fino alla fine della cena per evitare disguidi o incidenti diplomatici che lo avrebbero lasciato a digiuno. Quando terminò di mangiare disse a tutti che lui era calabrese. Si scusarono e spiegarono che parlavano solo di alcune persone del sud”.

Un tentativo maldestro, sintomatico di pregiudizi radicati negli anni Cinquanta e – non solo – nel Settentrione.

Ristorazione e ciclismo

ciclista Terùn davanti Isola Dino

“Tutte le start-up di successo nascono da una esigenza dei creatori, così Terùn nasce dalla nostra esigenza di avere un luogo dove sentirsi a proprio agio e mangiare bene e sano”, dice Maico.

E quando gli chiedo quanta Calabria c’è nei loro ristoranti non esita affatto: “La Calabria c’è tutta e anche la Puglia del nostro chef e, ovviamente, la pizza napoletana”. Un connubio che si sposa con la scelta mirata nelle materie prime. Infatti, per le loro pietanze usano l’olio calabrese di Santa Domenica Talao, la pasta artigianale che arriva dall’Abruzzo e da Trento, la farina di un mulino napoletano.

Lontano da stereotipi, Maico ha lo sguardo rivolto al futuro ma con i piedi ben piantati in terra, e, spesso, infilati nei pedali della sua bici, amica di avventure con il fratello e altri biker.

Squadra Terùn Scalea

Squadra ciclisti Terùn Giro d'Italia

Qualche giorno prima di questa intervista, ci siamo visti al Giro d’Italia con tappa di arrivo a Scalea: Maico e Franco sono venuti appositamente per questo importante evento. Con loro c’erano tutti gli iscritti al team “Terùn”, squadra dilettantistica di ciclismo, presieduta da Rossano Bruno. Hanno tagliato il traguardo con il ciclista Maurizio Fondriest, uno dei primi a interessarsi a questo progetto.

La nostra sfida è unire i continenti attraverso la bici. In Calabria sono 44 gli iscritti, 60 a Palo Alto. Crediamo che la Riviera dei Cedri possa diventare una hub per ciclisti, sposando il turismo esperienziale. Dopo le due Gran fondo Terùn 2018 e 2019, sempre più turisti dagli Stati Uniti sono sbarcati nella Riviera dei Cedri, prima del 2018 a loro sconosciuta.

In questi giorni arriverà un gruppo di 14 persone, accompagnato da 2 ex professionisti: rimarrà per una settimana, scoprendo sentieri e bellezze paesaggistiche, assaporando la genuinità del cibo e delle persone. È un modo per costruire un turismo sostenibile”.

Calabria: i sacrifici di chi parte e di chi resta

Ingresso ristorante Terùn

Il legame con la Calabria è indissolubile per Maico e Franco Campilongo. È un filo indistruttibile.

“Siamo chi siamo perché ci siamo plasmati fra quelle montagne, su quelle spiagge. Non è stato facile partire, anche se non era la prima volta. È più facile andare via quando non si è appagati, quando non si riesce a trovare un lavoro che soddisfi o che paghi dignitosamente.

Poi prepari le valigie. Sai che stai facendo la cosa giusta, specie quando capita di sentire l’amarezza nelle parole di alcuni tuoi amici che sono rimasti. Quindi, guardando i passi che hai compiuto, i chilometri e i voli che ti separano dalla tua famiglia di origine, dalla tua terra, pensi di aver fatto bene.

Una sensazione che dura poco, però. Dopo, infatti, diventi invidioso, nel senso buono, del privilegio che hanno: affacciarsi su quel mare che adesso ami di più, ma che prima non riuscivi a vedere e ad apprezzare perché eri troppo preso a cercare di vivere un’altra vita. Col tempo ho imparato a capire quanto siano importanti il viaggio e il ritorno”.

Ottenove

 

7 commenti
  1. Ale - Dolcemente Inventando
    Ale - Dolcemente Inventando dice:

    Questo articolo mi ha emozionato particolarmente perché da emigrata 20 anni fa so cosa si prova ad essere lontani da casa.
    Bravi Maico e Franco e complimenti anche a te cara Ale!
    Grazie per questo ennesimo racconto emozionante di calabresità❤

  2. Alessia Antonucci
    Alessia Antonucci dice:

    Cara sister,
    mi sono emozionata particolarmente nell’intervistare i protagonisti di questa storia.
    Il dilemma resta: partire o restare?
    Loro hanno trovato un ottimo modo per coniugare le due cose, anche se la nostalgia è forte.
    Ti abbraccio.
    Love u

  3. Alessia Antonucci
    Alessia Antonucci dice:

    Cara Ale,
    posso immaginare solo in piccolissima parte che cosa significa. Quindi, complimenti anche a te per aver saputo miscelare bene gli ingredienti contro la nostalgia.
    Grazie a te per il sostegno costante e prezioso.
    Abbracci,
    Alessia

  4. Isidoro
    Isidoro dice:

    Una storia fantastica. Non sapevo ma la prossima volta che sono da quelle parti lì andrò a trovare.

  5. Alessia Antonucci
    Alessia Antonucci dice:

    Ciao Isi,
    grazie mille per il tuo feedback.
    Spero che con Maico e Franco vi possiate incontrare per fare belle cose insieme. Una Calabria che con voi e con i tanti emigrati resiste e si inventa all’estero.
    Abbracci,
    Ale

  6. Maico
    Maico dice:

    Ciao a tutte e a tutti,
    Tutti commenti lusinghieri, questo mi rende felice, come dice Alessia nella sua biografia, anche io ancora mi chiedo se è più facile partire o restare.
    Ma come per il “ battito di una farfalla “ facciamo cose che poi ne fanno accadere altre altre e altre ancora. E’ sicuramente emozionante leggere i vostri commenti.

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